Cultura e tradizione
Carnem levare... ma prima una buona scorta di divertimento(1) .
L'Epifania tutte le feste porta via.. poi arriva sant'Antonio che le riporta un sacchettino!
In Maremma il Carnevale inizia ufficialmente il 17 Gennaio, nel giorno di Sant'Antonio degli animali, e dura fino quando, con il Mercoledì delle Ceneri, ne viene decretata la morte, con l'ardente rituale di saluto che dà il là alla Quaresima e dice addio alla miseria dell'inverno.
E', infatti, ancora tradizionale, in qualche paese dell'entroterra maremmano, tra il Monte Amiata e l'Argentario, mettere in scena farse che rappresentano l'agonia e la morte del Carnevale, l'arrivo della bianca Quaresima che stringe un baccalà nella mano - segno della fine dei bagordi e dell'inizio dell' -inevitabile- digiuno del venerdì, la lettura del testamento del Carnevale, il ballo dei "Gobbi" che mimano figure legate al duro lavoro degli uomini di montagna, il funerale attraverso le strade dei paesi, il rogo del fantoccio.
Il termine Carnevale sembra derivi dal latino carnem levare, perché indicava l'inizio della Quaresima, ossia il periodo del digiuno e delle limitazioni; così toglieva la carne, nel passato già poco presente nelle case. Momento di transizione tra le feste Natalizie e la Quaresima, nel tempo ciclico della vita contadina, l'attesa della Pasqua significava la nuova primavera, il risvegliarsi delle piante da frutto, la vigna che comincia a rimettere le foglie, gli erbai per i pascoli che iniziano a produrre foraggio, il grano che riparte per la produzione. Il risveglio del tempo.
E anche nelle sue origine pre-cristiane, e quindi pagane, il momento di passaggio aveva un'importanza particolare: il trascorrere del tempo, tra l'inverno e la primavera, si festeggiava con riti propiziatori, i Saturnali dell'antica Roma e leAntestenie della Grecia classica, con i carri, la gioia, le maschere, i fuochi purificatori e propiziatori di fertilità e abbondanza.
Il Carnevale ha sempre avuto, anche in Maremma, un significato molto importante: nel chiuso mondo contadino, immutabile, ingessato nella divisione dei ruoli e dei sessi, il Carnevale era l'occasione per risolvere simbolicamente le intrinseche contraddizioni, spezzare la rigidità sociale, ed esprimere le esigenze individuali, sentite da donne, uomini, bambini, vecchi. Nella sua funzione originaria infatti il Carnevale è assimilabile ai baccanali pagani, le epidemie di ballo collettivo raccontate nella la leggenda del pifferaio magico, ai mitici morsi della tarantola, testimoniati ancora nell'Italia meridionale: un modo festoso di rivoluzionare un ordine precostituito e altrimenti immodificabile.
Però il Carnevale, nella Maremma grossetana è stato sempre legato alla grande povertà, la scarsità di popolazione e all'isolamento dei nuclei abitati. Ci si mascherava come meglio si poteva, si ballava nei veglioni, organizzando giochi e scherzi e, quando il Carnevale moriva, si bruciava in piazza dopo avergli fatto un funerale.
Ogni massaia, come dire, ogni donna, preparava dolci tipici, gli strufoli, o struffoli, i migliacci, i crogetti, i cannoli, le castagnole, i frati, le chiacchiere, le frappe e i fiocchi (a seconda del Campanile), tutti conditi con miele, zucchero o crema. E, benché la ricetta fosse facile e gli ingredienti semplici di tutti i giorni, i dolci di Carnevale si facevano solo a Carnevale, come per dare unicità all'evento e rendere emozionante l'attesa.
Altro elemento che caratterizzava il Carnevale tradizionale, oggi scomparso, era la rappresentazione in piazza deibruscelli. Il Bruscello, forma teatrale canora, apparteneva al ciclo delle forme propiziatorie tipiche del mondo contadino: un ramo d'albero, "l'arbuscello", rappresentava il simbolo centrale della festa, attorno al quale si muovevano gli attori-cantori. I temi più frequenti ed apprezzati erano quelli epico-cavaIlereschi o biblici, ripresi dalla storia romana antica o della storia del cristianesimo.
E il giorno del Martedì Grasso, c'erano, ovunque, i "Veglioni". Il segreto della riuscita di una buona mascherata era non farsi riconoscere camuffando la propria identità. Le donne erano, tanto quanto gli uomini, protagoniste della festa, ma con i volti nascosti e le voci in falsetto.
Spesso era tutta la popolazione che partecipava alla preparazione delle maschere, durante tutto l'anno, realizzando figure grottesche e povere: calzemaglie, tute stracciate, lenzuola. Ed è forse da questo spirito di lavoro corale che è nata ed è perdurata nel tempo la tradizione di costruire, anche in Maremma, i carri, che oggi possiamo ammirare, in tutta la loro imponenza, ironia e burla nelle sfilate di Follonica, Orbetello, e a Porto Santo Stefano.
Questo testo è un'opera originale a cura di Elisabetta Tollapi
(1) Alcune notizie sono tratte da un articolo dell'antropologo Roberto Ferretti apparso nella Nazione di Martedì 7 febbraio 1978.