Cultura e tradizione
Tra sacro e profano. L'inverno muore per San Giuseppe
A PITIGLIANO. Nella notte tra il 19 e il 20 Marzo.
In Maremma, le antiche origini si percepiscono nell'aria. E la sensazione di essere parte di un tutto che ci trascende e ci lega indissolubilmente ai i nostri antenati è forte e persistente. Non limitandosi semplicemente al ricordo di qualche generazione fa. E' una relazione a ritroso che arriva fino a sfiorare quel popolo misterioso e affascinante, gli etruschi, penetra in quel loro profondo senso del sacro e nelle loro sensibilità divinatorie.
L'affascinate Torciata di San Giuseppe, che si svolge ogni anno la notte del 19 Marzo, a PITIGLIANO, con le sue antichissime origini è una delle manifestazioni più riuscite dell'intreccio tra folclore, sacralità pagana, ritualità cristiana. Un grande evento che illumina e riscalda la notte dell'equinozio di primavera, a partire dall'ora del crepuscolo, in quell'attimo esatto in cui giorno e notte si trovano in armonia, la luce si appresta a vincere sull'oscurità e l'inverno cede il passo alla primavera.
Ed è proprio con gli etruschi che pare sia nato questo rito che oggi è diventato tradizione. Il misterioso popolo che ci ha preparato la terra, insegnandoci a curare olivi, viti e commerci, festeggiava il "seme sotterrato simbolo di vita" accendendo enormi fuochi, epifanie della fine della stagione invernale e propiziatori dell'arrivo della Primavera. Una festa che poi è andata ad intrecciarsi con le tradizioni cristiane, profondamente popolari e contadine, con quella religiosità legata al lavoro e alla terra tipica della Maremma, e far sì che la festa ancestrale onorasse lo sposo della Vergine Maria, il padre putativo di Gesù, San Giuseppe.
E a Pitigliano, la grande festa diventa ancora più particolare e caratteristica, già a partire dal nome dell'enorme pupazzo di canne, simbolica rappresentazione dell'inverno che muore: "l'invernacciu", nel gergo popolare pitiglianese. Issato davanti al palazzo comunale, l'Invernacciu attende, al crepuscolo, tre squilli di tromba. Ecco che i torciatori, incappucciati in rustici sai, con in spalla un grosso fascio di lunghe canne infuocate, iniziano la loro marcia dalla Via Cava del Gradone, a valle del paese lungo il fiume Meleta, salendo verso il paese, lungo un percorso rischiarato da fuochi che serviranno per alimentare le torce.
Figuranti del corteo, sbandieratori, pitiglianesi e turisti aspettano con il fiato sospeso l'arrivo di questi uomini che, come fiaccole viventi, in lontananza, si avvicinano permettendo a chi li osserva di godersi uno spettacolo suggestivo e denso di magia. Una volta arrivati in piazza Garibaldi i torciatori, si dispongono intorno all'invernacciu, in attesa della benedizione del vescovo alla statua del Santo. Finché, tra la gioia e lo stupore, spunta il corteo dei torciatori, aperto da due ragazzi con in spalla la statua di San Giuseppe, intonando più volte il grido di "Evvi, evvi, evviva San Giuseppe". I torciatori schierandosi in circolo intorno all'invernacciu, dopo la tradizionale benedizione del Vescovo, accendono la catasta e il pupazzo, in pochi secondi, divampa in un enorme falò.
Il grande fuoco si consuma lentamente lasciando al suo posto la brace che verrà raccolta dalle donne per buon auspicio, mentre tra balli, canti, frittelle di San Giuseppe e il buon vino della zona, prosegue la lunga festa che coinvolge l'intera città del tufo e richiama folle di visitatori. Un'occasione che, ben lungi dall'essere solo un fenomeno di folclore, è un vero e proprio elemento d'identità per la comunità pitiglianese.
Sull'evento: Il libro di Alexia Proietti, La torciata di San Giuseppe a Pitigliano : festa e identità culturale in un comune della Maremma grossetana. Con introduzione di Pietro Clemente. Archivio delle tradizioni popolari della Maremma, 2003
Questo testo è un'opera originale a cura di Elisabetta Tollapi